Sebbene Giovanni Trimani si consideri un professionista dal 2007, le radici del suo essere artista
affondano nel lontano 1987, quando ebbe la fortuna di incontrare Franco Giacchieri. Trimani ha
affinato la sua tecnica con un’estenuante pratica accompagnata da quotidiana e scrupolosa
preparazione didattica, lungo un percorso di apprendimento e formazione continua che rimane
tutt’ora un punto fermo del suo lavoro.
Ha sempre posto al centro della sua ricerca il segno, declinandolo tanto nella pittura, quanto
nella scultura. L’Uomo, nella sua più aulica definizione, è il centro della sua estetica, che elabora
e propone in una chiave di lettura quanto più universale e condivisa, pur partendo dall’attenta
analisi del suo vissuto.
Le tecniche classiche hanno segnato la gioventù e gli anni di formazione di Trimani. L’approdo a
uno stile ormai maturo, frutto di personale interpretazione ed elaborazione del mondo, oggi è
chiaramente visibile nell’importante e complesso progetto AssediA, che per l’artista rappresenta
buona parte della sua produzione.
Il soggetto più̀ rappresentato da Trimani dal 2016, infatti, è la Sedia, non inquadrata come natura
morta, ma come punto di osservazione alla ricerca della profondità dell’Uomo. Creatura divina e
materiale, fatto di anima e corpo, tragicamente coinvolta nella sua finitezza. Le sue Sedie sono
una carrellata di ritratti inseriti in uno spazio oniricamente definito.
Assedia nel 2023 festeggia il suo settimo anno, con un catalogo di opere vasto ed articolato dalla
pittura alla scultura fino all’installazione, un curriculum di decine di mostre personali e
partecipazioni in collettive sia in Italia che all’estero. La prossima mostra, nel mese di settembre
a Roma presso la Galleria Pavart, traccerà i confini del lavoro fino ad ora svolto e presenterà i
nuovi orizzonti. Assedia è stato recensito da vari critici italiani, la prima è stata la dott.ssa
Francesca Bogliolo che nel 2016 descrisse la poetica di Trimani con queste parole:
“L’incertezza di una sedia, allegoria di presenza temporanea, di pieno e di vuoto, di imposizione
e di scelta. La dicotomia irrisolta delle sue forme riverbera nella sua effimera funzione, rendendo
manifesta una presenza o palesando un’assenza. Riflettere sul significato e sul senso
dell’assedio, letteralmente “star seduti davanti” ai propri pensieri e alle emozioni trasmesse
dall’oggetto, significa senza dubbio per Giovanni Trimani riconsiderare il ruolo dell’artista nel
mondo moderno, ma prima ancora ripensare la collocazione della propria identità individuale
all’interno della sua storia personale, cercando di rendere stabile l’instabilità attraverso una
figurazione emotiva che nell’atto concettuale della sua elaborazione rivela la volontà di fare
memoria. Dobbiamo rimanere al nostro posto, nel ruolo che ci è stato simbolicamente
assegnato, oppure è possibile cambiarlo in base alla nostra volontà, al libero arbitrio che ci è
stato concesso? Metaforicamente, Giovanni Trimani ripercorre il ruolo assegnato all’oggetto
sedia dalla storia dell’arte come tacita testimone di solitudine, attesa, quotidianità. Su esse non
appoggia nulla, ché debbono restare allegoria dell’uomo e dei suoi desideri attraverso la loro
semplice presenza fisica, composta di braccia, gambe, schiena. Decidere dove sedersi indica
quale atteggiamento si è deciso di tenere nei confronti della realtà, accomodarsi vuol dire
prendere coscienza, assumere contezza di sé. Il progetto dell’AssediA è molto più di una
riflessione artistica attraverso una natura morta: è la viva consapevolezza che si prova davanti
ad uno specchio, cui è necessario dare ascolto.”