Le Radici Storico-Politiche di un fortunato toponimo: perché il termine ‘Marchesato’ non può essere esteso a tutta la Provincia di Crotone

Terra a tavoliere, che dal Tacina si stende oltre il Neto,

terra prestigiosa, rapinata per millenni al monte,

terra per eccellenza adatta al grano, a quello duro,

che nutre da solo senza aiuti alimentari,

terra famosa di nomi e di ricordi,

dove ogni chicco di grano si alimenta ancora

dei resti lasciati nel terreno dall’opulenza greca.

Prof. Giuseppe Tallarico (1880-1965)

Cfr. Giuseppe Tallarico, Il Marchesato viaggio storico nel Crotonese,

Pubblisfera Edizioni, San Giovanni in Fiore, 2014.

L’argomento del “Marchesato di Crotone” è stato, ed è ancora, uno dei temi maggiormente dibattuti da storici e studiosi calabresi, che hanno narrato le vicissitudini feudali, economiche ed ecclesiastiche del territorio, arricchendole di interpretazioni personali, che, in alcuni casi, hanno alterato i comuni protocolli documentali e archivistici della ricerca storica. Pertanto, cercheremo in questo breve elaborato di far luce su luoghi comuni e modi di dire ormai consolidati dalla prassi quotidiana e dal linguaggio parlato, ritornato di moda e d’attualità soprattutto agli inizi degli anni Novanta del passato secolo con l’istituzione della provincia di Crotone.

Comprendiamo benissimo che l’euforia di quel periodo e la legittima aspirazione di un intero comprensorio abbiano potuto elevare i toni oratori, ricreando l’iperbole letteraria del Marchesato, riferito al territorio ricadente nei confini geografici della neo-provincia calabrese. La felice espressione, estesa arbitrariamente a un vastissimo territorio, ha assunto col tempo la connotazione impropria di area geografica dai confini ben delimitati. Ma la vasta distesa, che il popolo continua a chiamare ‘u Marchesatu, non ha avuto nel passato vicende feudali e rapporti ecclesiastici in comune, a meno che non si voglia ricercare l’omogeneità e l’affinità solo nell’insieme degli aspetti fisici, nella natura geologica del terreno, nel clima, nella vegetazione e nei fatti umani legati soprattutto a tradizioni, usi, costumi, derivanti dalla vocazione e dall’economia agricola comune.

Il toponimo Marchesatu viene usato ancora oggi dalla gente del luogo per continuare a tramandare la vasta distesa del Crotonese, un paesaggio compreso tra i fiumi Tacina e Nicà e le propaggini orientali degli Appennini Silani. Una connotazione distrettuale che ha trovato il suo significato odierno nel lavoro del geologo, del geografo e dell’economista, professionalità alle quali esso continuerà a far comodo, nella sua sonora brevità, per circoscrivere nettamente un insieme di aspetti geologici, ambientali, agrari, economici e umani.

Queste caratteristiche, strettamente collegate tra loro, forniscono un risultato di fisionomia di paesaggio geografico fra i più caratteristici dell’Italia meridionale, un’area che ha assunto col tempo il concetto per antonomasia di “paesaggio del latifondo calabrese”. Le fertili vallate compresi tra i principali corsi fluviali costituiscono i territori migliori e più ricchi del Marchesato, dove il fenomeno economico-sociale del latifondo si è sempre manifestato nei secoli in tutta la sua originale evidenza e nella sua entità, espressione quantitativa dell’estensione agricola delle singole proprietà terriere, con particolare riferimento alla monocultura, soprattutto a quella granaria, associata, anche oggi sebbene in misura assai minore rispetto al passato, alla pratica della transumanza bovina dei pascoli silani.

Nessuna contestazione, dunque, se il termine Marchesato avesse solo una connotazione distrettuale e territoriale, senza alcuna implicazione di ordine storico ed etimologico. L’indiscutibile successo della denominazione è legato, invece, proprio a un evento e a una data storica precisa, il 1390, e soprattutto alle prerogative amministrative e giurisdizionali che tale termine, allora e ancora oggi, comporta. Il dissenso, se così si può definire, investe la dilatazione territoriale su cui le attribuzioni legate al titolo di “Marchese” sono state arbitrariamente estese per errata interpretazione storiografica o per superficialità. Dai documenti consultati, l’ambito titolo, rarissimo nella scala gerarchica nobiliare dell’epoca, riguardava solo la città di Crotone e i privilegi che esso garantiva erano limitati al solo territorio cittadino, senza investire gli altri numerosi feudi di casa Ruffo, che all’epoca possedeva buona parte del territorio feudale calabrese.

I confini del Marchesato storico non possono essere racchiusi per nessuna ragione nei limiti distrettuali dell’odierna provincia o addirittura estesi tra i fiumi Trionto e Tacina, né possono essere identificati nel territorio compreso tra il torrente Crocchio a sud e il Lipuda a nord. Quest’ultima tesi, che potrebbe trovare una qualche plausibile giustificazione nelle vicissitudini storico-feudali ed economico-sociali del comprensorio, legato alle vicende personali del conte, poi marchese Nicola Ruffo di Crotone, è ritenuta una forzatura arbitraria e, in ultima analisi, l’unica possibilità di estensione del termine Marchesato. La prima tesi, che vede i confini del Marchesato delimitare quelli provinciali, al contrario, non poggia su alcun fondamento storico, essendo il territorio in questione, nella stragrande maggioranza, diviso tra le casate dei Ruffo di Catanzaro – Crotone e il ramo collaterale dei Ruffo di Montalto, con il fiume Neto quale linea divisoria tra i rispettivi possedimenti.

La grandezza della Kroton magno-greca non ha bisogno di simili interpretazioni per accrescere il suo indiscusso valore storico-culturale ed egemonico sul vastissimo territorio, compreso tra il mare Ionio a est e le prime falde montuose dell’Appennino calabrese a ovest, tra la punta del fiume Nicà a nord e il promontorio di punta Stilo a sud. Basterebbe solo rileggere con attenzione le splendide pagine di storia antica; basterebbe tracciare un itinerario turistico-archeologico, rimovendo dal sottosuolo tutti i segreti, che da millenni esso custodisce gelosamente, per rendersene conto. Né la Crotone moderna ha bisogno di allargare oltre misura i suoi indiscussi meriti storici e culturali per rivendicare il ruolo guida della nuova provincia, che dal fiume Nicà raggiunge il Tacina in direzione sud.

Con la conquista normanna e l’introduzione dell’ordinamento feudale nell’Italia meridionale, tutta la vasta distesa, impropriamente definita Marchesato, ritornò timidamente a pulsare senza, però, mostrare duraturi legami relazionali, smembrata e divisa tra le casate feudali emergenti calabresi e napoletane.

Considerato che la posizione di Crotone assicurava un ruolo strategico di rilievo nel contesto dell’apparato difensivo del Regno sul versante orientale, re Ladislao di Durazzo (allora tredicenne), su suggerimento della madre e dei suoi tutori, concesse a Nicola Ruffo il titolo, non comune, di Marchese di Cotrone, signore della stessa città e conte di Catanzaro, con un privilegio dato in Gaeta il 18 ottobre 1390.

Le fortunate circostanze, che portarono alla concessione, da parte di re Ladislao, del titolo di marchese sulla città di Crotone, non sortirono, pertanto, l’effetto di riunificare l’antico territorio della Kroton magno-greca sotto un’unica autorità feudale, ma contribuirono a mettere ulteriormente in risalto il valore e il prestigio di una delle più illustri casate nobiliari calabresi del XIV-XV secolo: i Ruffo. Del resto, il Marchesato, storicamente inteso, durò lo spazio di 75 anni (1390-1465), non sopravvivendo al tragico e avventuroso destino delle famiglie che lo hanno posseduto: Nicola Ruffo, primo marchese di Crotone, al quale successe sui beni di famiglia, tra cui il Marchesato, la figlia Enrichetta, che aveva sposato l’avventuriero spagnolo Antonio Centelles. Con il nuovo Marchese si assistette ad un prosieguo delle ostilità nei confronti dei sovrani di Napoli. Numerose furono le rivolte e a pagarne le conseguenze, come al solito, furono le nostre popolazioni. Con il Centelles si chiuse, nel 1465, la breve ma intensa parentesi storica del Marchesato, come entità territoriale, mentre alla città di Crotone fu concesso lo stato demaniale, reclamato a gran voce dai suoi abitanti.

È necessario ricordare che all’epoca del Marchesato la Calabria era divisa in due grandi province: Calabria Citra a nord e Calabria Ultra a sud. La linea di confine tra le due province era costituita dal fiume Neto sul versante ionico, il quale rappresentava, già dal XIV secolo, la linea divisoria tra la maggior parte del patrimonio feudale delle casate consanguinee dei Ruffo di Montalto e di Catanzaro-Crotone. A nord del Neto, in Calabria Citra, dominava il ramo dei conti di Montalto e principi di Rossano dal 1443, mentre a sud, in Calabria Ultra, i conti di Catanzaro e Marchesi di Crotone dal 1390. Facevano eccezione le terre di Cirò, Melissa e Strongoli, che, pur ubicate a nord del Neto, a vario titolo e in periodi diversi, erano appartenute al patrimonio feudale del marchese di Crotone.

Volendo fare un confronto tra i centri abitati sul finire del 1300 con quelli attuali, nell’area del Crotonese, rileviamo che il marchese di Crotone possedeva 11 dell’odierni comuni, di cui 8 nella Calabria Ultra (Crotone, Cutro, Isola, Mesoraca, Policastro, Roccabernarda, San Mauro e Santa Severina) e tre nella Citra (Cirò, Melissa e Strongoli). A questi 11 centri bisogna includere le attuali frazioni di Papanice e Le Castelle, mentre un altro casale, S. Giovanni Minagò, ubicato nelle pertinenze di Cutro, non riuscì a sopravvivere per i numerosi saccheggi e venne abbandonato dai suoi abitanti nella prima metà del 1600.

I conti Ruffo di Montalto, invece, possedevano nel Crotonese, e precisamente in Calabria Citra, a nord del Neto, sette degli attuali comuni: Caccuri, Casabona (con la frazione Zinga), Cerenzia, Crucoli, Rocca di Neto, Umbriatico e Verzino.

Complessivamente i principali centri abitati nella provincia di Crotone a cavallo tra il XIV ed il XV secolo erano 18, mancano, per avere il quadro definitivo dei 27 comuni, altri nove paesi, di cui alcuni esistevano sotto forma toponomastica come feudi rustici, ossia non abitati, oppure come minuscoli villaggi, che inizieranno ad avere un notevole incremento demografico a partire dalla fine del 1400, soprattutto con la venuta degli Albanesi (San Nicola dell’Alto, Carfizzi, Pallagorio, Belvedere Spinello, Castelsilano, Savelli, Cotronei, Scandale e Cirò Marina, quest’ultimo comune è sorto nel 1952).

Nell’economia generale di questo lavoro, mi è sembrato di importanza decisiva prendere in esame i centri abitati dei marchesi di Crotone e dei conti di Montalto nel tentativo di apportare dei chiarimenti sull’argomento Marchesato. Quand’anche volessimo, erroneamente, configurare il Marchesato sul solo patrimonio feudale dei Ruffo-Centelles, a cavallo del fiume Neto, non riusciremmo, comunque, a giustificare l’eccessivo allargamento del termine Marchesato in Calabria Citra ai danni dello stato feudale dei conti di Montalto. Sarebbe stato molto più logico, seguendo tale ottica, estendere il termine nella Calabria Ultra, dove erano effettivamente localizzati i feudi del marchese, come, nella sua infinita saggezza, fece il popolo, almeno fino al 1600. Ci informa, infatti, padre Giovanni Fiore da Cropani, vissuto nel XVII secolo, che nell’immaginario popolare… Marchesato fino ad oggi sì dice tutto quel lungo tratto di paese da Catanzaro a Crotone.

Ne consegue, pertanto, che Belvedere Spinello, Caccuri, Carfizzi, Casabona, Castelsilano, Cerenzia, Crucoli, Pallagorio, Rocca di Neto, San Nicola dell’Alto, Savelli, Umbriatico e Verzino, in tutto sono 13, che non hanno mai fatto parte dei possedimenti del marchese di Crotone, non possono, dunque, essere inclusi in alcun modo e senza alcun titolo nel Marchesato storico, la cui nascita non ha comportato alcun incremento territoriale, ma ha avuto solo carattere giurisdizionale ed amministrativo, esercitati dal marchese sul territorio di Crotone.

I 13 paesi precedentemente citati, ubicati nella Calabria Citra hanno avuto con Crotone, lungo il corso dei secoli, rapporti esclusivamente di carattere commerciale-economico. Solo in un passato più recente, con la riforma amministrativa, avviata dal governo borbonico, tutti i comuni, compresi a nord del Neto fino al torrente Nicà, sono stati inclusi nella stessa provincia di Calabria Ultra II, denominata, durante l’Unità d’Italia, provincia di Catanzaro. Infine, nel 1992, con l’istituzione della provincia hanno stretto legami amministrativi più duraturi con la città di Crotone.

Con queste ultime deduzioni, concludo questo breve percorso sul Marchesato di Crotone rimettendomi ancora una volta alla speranza e alla coscienza politica e culturale della classe dirigente, affinché le conoscenze del territorio e del proprio popolo possano costituire un patrimonio comune di orgoglio che inciti tutti a lavorare insieme per un avvenire migliore.

Giuseppe Tallarico

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